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SOS grano, cala del 20% la produzione a causa dei cambiamenti climatici

Coldiretti: «Il settore subisce anche la concorrenza sleale delle importazioni dall’estero»

Al via la trebbiatura del grano in Puglia con cali della produzione fino al 20%. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in riferimento all'inizio della raccolta del frumento su quasi 1,8 milioni di ettari da sud a nord della Penisola. A colpire i campi pronti alla raccolta sono stati in particolare i cambiamenti climatici che – evidenzia la Coldiretti - hanno provocato prima uno slittamento delle semine a gennaio a causa delle piogge che hanno inzuppato i terreni rendendo impossibile il lavoro e poi la siccità e il caldo che stanno incidendo sulla quantità che scenderà sotto 6,7 miliardi di chili registrati invece lo scorso anno.

La regione con la maggiore produzione di grano in Italia – spiega la Coldiretti – è la Puglia con oltre 360mila ettari dove si registrano i cali più pesanti. Intanto le stime di rese in calo per la nuova campagna stanno facendo impennare le quotazioni del grano duro che – sottolinea la Coldiretti - a Foggia registrano un +42% rispetto allo stesso periodo del 2019 con i valori più alti degli ultimi cinque anni.

«Gli agricoltori per una giusta remunerazione del proprio lavoro sono pronti ad aumentare la produzione di grano duro in Puglia dove è vietato l'uso del glifosate in preraccolta, a differenza di quanto avviene in Canada ed in altri Paesi. Improbabili e dannosi per il tessuto economico del territorio percorsi di abbandono e depauperamento dell'attività cerealicola che deve, invece, specializzarsi, puntare sull'aggregazione, essere sostenuta da servizi adeguati e tendere ad una sempre più alta qualità, scommettendo esclusivamente su varietàpregiate, riconosciute ormai a livello mondiale», afferma il Presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia.

La Puglia è il principale produttore italiano di grano duro – aggiunge Coldiretti Puglia - con 346.500 ettari coltivati e 9.990.000 quintali prodotto e valore della filiera della pasta in Puglia pari a 542.000.000 euro. «La Puglia è, d'altro canto, la regione che paradossalmente ne importa di più, tanto da rappresentare – insiste il presidente Muraglia - un quarto del totale del valore degli arrivi di prodotti agroalimentari nella regione. La filiera è spesso matrigna, ma non possiamo indebolirci ancora, considerate importazioni, triangolazioni, oltre alle problematiche causate dal meteo che alimentano il rischio concreto di dinamiche di mercato speculative per ridurre in maniera ingiustificata il prezzo pagato agli agricoltori».

Una trend spinto dalla crescente richiesta di prodotti 100% Made in Italy da parte dei consumatori. Infatti secondo l'indagine Coldiretti/Ixe' l'82% degli italiani con l'emergenza coronavirus sugli scaffali cerca prodotti Made in Italy per sostenere l'economia ed il lavoro del territorio. Una tendenza confermata dal successo della campagna #mangiaitaliano promossa da Coldiretti e Filiera Italia che ha coinvolto industrie e catene della grande distribuzione. Una svolta patriottica favorita anche dall'obbligo di indicare in etichetta l'origine del grano per la pasta sotto il pressing delle battaglie degli agricoltori della Coldiretti.

Le industrie di trasformazione stanno quindi adeguando gli approvvigionamenti e le proprie linee di produzione anche attraverso accordi per aumentare le coltivazioni in Italia. In questo contesto – sottolinea la Coldiretti – un segnale importante viene dal moltiplicarsi di marchi di pasta che garantiscono l'origine nazionale al 100% del grano impiegato, impensabile fino a pochi anni: da La Molisana ad Agnesi, da Ghigi a De Sortis, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a Fabianelli, da Alce Nero a Rummo, da Antonio Amato a Voiello, da FdAI – Firmato dagli agricoltori italiani fino a Barilla che proprio quest'anno ha annunciato di rinnovare la sua pasta classica con grani 100% italiani.

Ci sono quindi le condizioni per rispondere alle domanda di italianità dei consumatori ed investire sull'agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzione di qualità realizzando rapporti di filiera virtuosi con accordi che – evidenzia la Coldiretti – valorizzino i primati del Made in Italy e assicurino la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto "equo", basato sugli effettivi costi sostenuti. Un impegno importante per garantire la sovranità alimentare del Paese e ridurre la dipendenza dall'estero in un momento in cui l'emergenza coronavirus ha evidenziato tutte le criticità del commercio internazionale.

La ricerca di grano 100% Made in Italy si scontra però con anni di disattenzione e abbandono che nell'ultimo decennio hanno portato alla scomparsa di 1 campo su 5 dopo con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati con effetti dirompenti sull'economia, sull'occupazione e sull'ambiente.

«Dopo il crollo delle importazione registrato nel 2018, è stato inaccettabile il balzo del 700% nel 2019 e di un ulteriore 59% nel 2020 di grano importato dal Canada, dove viene fatto un uso intensivo del diserbante 'glifosato' proprio nella fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato, uso che in Italia è vietato», denuncia il presidente Muraglia.

Il settore, dunque, continua a subire la concorrenza sleale delle importazioni dall'estero soprattutto da aree del pianeta che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale in vigore nel nostro Paese, come il Canada (principale esportatore mondiale) dove – conclude la Coldiretti - il grano duro per la pasta viene trattato con l'erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio italiano dove invece la maturazione avviene grazie al sole.
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