Cacciatore morto d'infarto dopo una perquisizione a Spinazzola, imputati assolti in secondo grado

L'ambientalista Salvemini, indagato dal 2005, era finito ai domiciliari nel 2008. La Corte d'Appello lo ha scagionato da ogni accusa

venerdì 10 giugno 2022 10.00
Tutto ebbe inizio il 6 novembre del 2005, quando l'82enne Mario Botticelli, pensionato di Riccione, perse la vita. L'uomo, cardiopatico, fu colto da un infarto a seguito dei controlli anti-bracconaggio e della perquisizione svolti da un agente del Corpo Forestale dello Stato, da un dirigente del Wwf e da una guardia venatoria volontaria nell'agro di Spinazzola, dove l'anziano si era recato in trasferta insieme ad altri cacciatori.

L'inchiesta condotta dai Carabinieri della Compagnia di Barletta su disposizione del pm della Procura di Trani Michele Ruggiero portò ad una serie di pesanti incriminazioni sfociate nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Francesco Zecchillo il 15 gennaio 2008: il sovrintendente della Forestale Raffaele Stano, la guardia venatoria Salvatore Checchia e il dirigente del Wwf Pasquale Salvemini furono accusati, a vario titolo, di violenza privata continuata aggravata, omicidio colposo con morte come conseguenza di altro delitto, lesioni aggravate, falso ideologico e materiale, abuso d'ufficio e calunnia. Secondo l'ipotesi investigativa, i tre avrebbero utilizzato metodi fin troppo duri e violenti nel corso delle attività di verifica. Salvemini, molfettese, è rimasto per 15 giorni agli arresti domiciliari.

La sentenza di primo grado è giunta solo il 17 settembre 2018. Il giudice monocratico del Tribunale di Trani, Paola Buccelli, condannò Stano a 3 anni e 6 mesi e le guardie Checchia e Salvemini a 2 anni e 6 mesi per il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale mentre il reato di omicidio colposo con morte come conseguenza di altro delitto cadde in prescrizione e l'accusa di aver falsificato i verbali stilati fu respinta.

Quattro anni più tardi, la Corte d'Appello di Bari ha assolto i tre imputati anche dall'accusa di falso in attacco pubblico «perché il fatto non sussiste». Una lunga vicenda processuale si è così conclusa dopo ben 17 anni.